7.1.10

r/034 - Lettera di Enrico (seconda parte)

Nella prima parte della lettera, abbiamo letto il resoconto che Enrico fa ai suoi genitori della sua cattura, avvenuta alle prime luci dell'alba in zona di combattimento. Sembra che l'azione nemica sia stata facilitata anche dal tradimento di alcuni commilitoni, anche se la dinamica dei fatti, così come viene raccontata, non mi risulta chiarissima.
Enrico sottolinea più volte il fatto che la sua resa non fu un atto di codardia, ma che lui tentò fino all'ultimo di spronare i suoi uomini al combattimento e non li abbandonò neppure quando le sorti dello scontro erano ormai intuibili.


Questa insistenza nel giustificare la propria posizione è facilmente spiegabile, dal momento che il comando italiano era molto duro con i soldati che si rifiutavano di correre all'assalto o cercavano di disertare. La pena in questi casi era la fucilazione, e molti furono i soldati italiani che caddero in questo modo.
Anche gli uomini fatti prigionieri dagli austriaci erano spesso guardati con sospetto e in alcuni casi, anche a conflitto terminato, non vennero più accolti in patria dalle proprie famiglie, essendo considerati alla stregua di veri e propri traditori.

Un esempio di questo comportamento è dato dalla seguente lettera, inviata da un padre al proprio figlio prigioniero di guerra: "Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te non mando nulla: se non ti fucilano quelle canaglie d'austriaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, un traditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva sempre l'Italia, morte all'Austria e a tutte le canaglie tedesche: mascalzoni. Non scrivere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie". (fonte)


Ma torniamo alla nostra lettera. In questa seconda parte leggeremo il racconto, a tratti avvincente come un romanzo, del tentativo di fuga effettuato da Enrico con alcuni compagni di prigionia.
La rocambolesca evasione progettata per lungo tempo non ebbe esito positivo, ma neppure catastrofico, a giudicare dalla conclusione della lettera.

Mi chiedo attarverso quali canali questa sia stata spedita, visto che la corrispondenza era regolarmente controllata dalla censura e un testo come questo avrebbe rappresentato una vera e propria confessione agli occhi degli austriaci. E' evidente però che il modo per aggirare la censura evidentemente c'era, già che anche il padre era riuscito a far avere al figlio alcune carte del Touring Club tedesco che sarebbero servite ai fuggitivi per orientarsi una volta abbandonato il campo. Forse quella famosa raccomandazione aveva realmente raggiunto il suo obiettivo.

(continua da qui)

"Lavorando con cautela si sentivano i discorsi che si facevano sopra di noi. Una sera udimmo dei colleghi che discutevano animatamente sull'impossibilità di una fuga per mezzo di un tunnel. E noi a ridere sommessamente e per sfogare meglio il nostro buon umore a darci dei maledetti scapaccioni!
Dopo aver fatti tanti camminamenti quanti ci parvero sufficienti per ricevere la terra di scavo della galleria, iniziammo il lavoro sotterraneo, verso i reticolati.

Il piano del pavimento lo pestammo a due metri sotto il suolo, ma si procedeva lentamente cause le continue frane che si verificavano per quanto si armasse la galleria come meglio ce lo permettessero i minuscoli mezzi a nostra disposizione. E quando si fu avanti per circa 6 metri, vennero dirotte pioggie che formarono la nostra disperazione perchè prevedemmo il peggio. Difatti un mattino verso le cinque venne quatto quatto il nostro attendente ad avvertirci che sotto la cunetta di scolo del tetto aveva franato. Ma gli austriaci erano già stati prevenuti e quindi noi scendemmo di corsa sotterra a sbarrare la galleria. Gli austriaci vennero, studiarono fecero scavare e rimontarono verso i camminamenti finchè trovarono lo sbarramento fatto da noi. Videro la seconda botola, mandarono agli arresti i due ufficiali della camera forata, fecero chiudere il buco e ad iniziare dai soldati serbi, uno scavo sotto la lunghezza della galleria e ad aprire delle feritoie per una completa ispezione.

Sorveglianti austriaci del campo di Braunau

Dopo qualche giorno vedendo noi che i serbi avanzavano lentamente, ripresa fiducia, riaprimmo il cammino e cominciammo un'altra galleria. Questa volta la armammo meglio, e proseguimmo con ardore, portando, per ischerzo, la terra dello scavo dove lavoravano i serbi, sempre ben inteso di notte, cosicchè essi la portavano via senza capire il doppio lavoro che compivano. Il trasporto da noi era fatto con dei carretti a tre ruote composti colle cassette di liquori che ci venivano da Linz, e col qual legname anche si armava la galleria. Ma come pesavano quei carretti a spingerli in ginocchio! Povere ginocchia scorticate dalla ghiaietta. E quali zuccate prendevamo contro le armature della galleria!

Siccome nella galleria mancava l'aria, così vi impiantammo un ventilatore a mano. Utilizzando poi i fili di un campanello elettrico dimenticato in una baracca, mettemmo una lampadina elettrica sotto la galleria. Le candele del resto, anche ad averne, non avrebbero funzionato causa la mancanza d'aria; del resto gli austriaci non ne permettevano l'uso dopo i primi tentativi di fuga.
 
Ma cosa fosse il lavoro sotto terra, occorre chiederlo ad un minatore. Vi si lavorava mezzi asfissiati e quasi acciecati per la sabbietta che entrava negli occhi; coll'animo poi sospeso nell'attesa di una frana che al caso ci avrebbe sepolti vivi senza speranza di aiuto. La terra e la sabbia gelata si insinuavano fra i panni ed andavano a cacciarsi proprio sotto le ossa, manco farlo apposta, e l'acqua gocciolava sempre dal tetto.
Dopo due ore di tale lavoro si doveva smettere.

Una sera mentre con un mio compagno si stava lavorando, vedemmo la luce elettrica spegnersi ed accendersi tre volte. Era il segnale d'allarme.
Ci ritirammo svelti e guardinghi e pervenimmo alla botola. Sentivamo gente che correva. Ad un tratto sentiamo pure gli austriaci che parlavano nel corridoio.
Schizzammo fuori dal buco come due topi, ci strappammo d'addosso i vestiti di lavoro, infilammo i pantaloni, le scarpe e con la giubba sbottonata ed i gambali in mano ci scaraventammo fuori dalla finestra ed a gambe levate ci mettemmo a correre verso la camera d'un collega. Ivi giunti, ci mettemmo in ordine e quindi ritornammo indifferenti sul posto a curiosare.
 
Gli austriaci erano stati bene informati e senz'altro giunsero sul posto loro indicato. Misero due sentinelle davanti alla porta della camera, e due davanti alle finestre, e rimisero l'ispezione al domani.
Ma durante la notte noi entrammo attraverso alle feritoie sotto la baracca e pervenuti nella stanza asportammo i vestiti, il registro dei turni e dopo barricata la porta ce ne andammo.
I tedeschi al mattino vennero e soltanto allora s'accorsero che avrebbero dovuto entrare subito nella stanza e mettervi dentro una sentinella e non quattro fuori.
Le loro indagini per conoscerci, riuscirono inutili.
Fecero poi scavare tutto il tunnel per ogni verso, chiusero tutto e così fu finita, e finirono pure le nostre speranze di fuga dopo tanto lacerante lavoro. Pensare, che non ci mancavano che pochi giorni di scavo per esser al di là dei reticolati, e quindi in una notte di temporale che largo si avrebbe preso!

Fatto curioso che tutti quelli che sapevano di questa galleria avrebbero voluto fuggire dopo di noi. Ve lo immaginate voi che per esperienza sapete quante poche siano le persone serie, quali probabilità avrebbero avuto di riuscire sprovvisti com'erano di quanto occorre per un percorso di almeno trenta notti di viaggio ?
Noi preparati da sei mesi, avevamo tutto; viveri speciali, scarpe, buona corda per l'eventuale guado dei fiumi, ma più che tutto, l'esatta bussola, e le magnifiche carte del Turing Club germanico che tu, caro papà, eludendo la censura austriaca mi avevi fatto pervenire in perfetto ordine. Con simili nitide carte e colle indicazioni di paesi e città che mi avevi fornite, si poteva con sicurezza costeggiare le strade maestre e sempre di notte. Si avrebbero evitate e guardie e cani, e bambini, che solo girano di giorno. Del resto il Maggiore della nostra baracca diceva sempre che aveva fiducia solo in Ioris, Salterio e Sforza; gli altri invece, che dopo il primo desiderio di fuga avevano smesso di lavorare, lo facevano ridere.
Purtroppo che finirono per ridere gli austriaci e ciò in causa di una spia, per disgrazia uscita dai nostri!
Adesso è inutile pensare ad altri progetti, più tardi si vedrà; siam però tenuti in sospetto, per quanto gli austriaci non abbiano potuto individuarci.
 
Concludendo, non datevi pensiero par me, perchè adesso stiamo meglio, sempre inteso finché arriveranno i viveri che i parenti ci mandano. Anche per le malattie non c'è ora pericolo, è ben vero che prima ch'io arrivassi avvenne una moria di otto o dieci mila serbi, ma allora l'igiene non era curata.

Vi ringrazio per quanto mi assicurate per i miei studi; io cerco di cacciar la malinconia studiando, e per adesso ne ho abbastanza col calcolo e colla meccanica razionale.
 
Colla venuta di altri invalidi vi scriverò ancora.
Vi bacio e con affetto mi dico il vostro

ENRICO"


Il campo di Mauthausen, come molti altri dopo la prima guerra mondiale, venne chiuso nel 1918 e i prigionieri  poco a poco rimpatriati in Italia. Purtroppo non ho trovato l'elenco dei deceduti di quel campo, che è invece disponibile online per Marchtrenk e dove non appare il nome di Enrico. La maggior parte delle fonti si riferiscono al periodo della seconda guerra mondiale, ed è quindi più complicato accedere ai dati di trent'anni prima.
Mi piace pensare che Enrico alla fine sia potuto tornare a casa, anche se la cura con cui è stato trascritto e conservato questo testo suggerirebbe l'esatto contrario... Può darsi che tra le altre vecchie carte che ancora si trovano nella scatola da cui ho ripescato la lettera, si nasconda ancora qualche indizio che può aiutarmi a svelare l'epilogo di questa storia. In quel caso, non mancherò di pubblicarlo qui sul Rumentaio.

DETTAGLI:
Pagine: 4 su un foglio protocollo
Dimensioni piegato: cm 21 x 30 

Provenienza:
La stessa scatola di r/015, r/030 e r/033.

1 commento:

and ha detto...

Davvero molto interessante!

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