28.12.09

r/034 - Lettera di Enrico (prima parte)



Come anticipato nel precedente post, è arrivato il momento di leggere la lettera che Enrico spedisce ai suoi genitori. Data la sua lunghezza, ho deciso di proporlo in due parti, con l'aggiunta di alcune brevi note esplicative e immagini che ci aiutino a visualizzare il racconto. Un racconto che di per sé rappresenta a mio parere un documento eccezionale e che merita di essere letto e divulgato, nonostante la dicitura "Riservato" scritta a mano sul primo foglio.
Dopo quasi un secolo dalla sua stesura, arriva fino a noi grazie a questa copia dattiloscritta realizzata probabilmente dai parenti più prossimi per mantenere la memoria dei fatti.

(Le prime due delle quattro pagine dattiloscritte di cui è composto il documento)

Gli eventi narrati dall'autore di questa lettera si svolgono evidentemente prima della tristemente famosa battaglia di Caporetto. Il telegramma con cui i genitori cercavano di ottenere favori per il loro figlio prigioniero, infatti, porta la data del settembre 1917, ma nella relazione dei fatti accaduti al padre, raccolti in r/030 - Storia di un eroe, si dice chiaramente che il suddetto Enrico, sottotenente di Fanteria, è "prigioniero di guerra in Austria fin dal 1915". La lettera si colloca quindi con tutta probabilità tra il 1915 e il 1917 e viene inviata da un campo di prigionia austriaco che non viene mai nominato, ma che si troverebbe nelle vicinanze di Linz, città dalla quale giungono i rifornimenti di liquori.
Svolgendo alcune ricerche su internet, scopro che i principali campi presenti in quest'area sono quelli di Mauthausen, Katzenau, Wegscheid e Marchtrenk.

Mentre nella guerra del 1915-18 i campi accoglievano in gran parte soldati e ufficiali catturati in battaglia o presunti cospiratori, nella seconda guerra mondiale si trattava di veri e propri mattatoi mascherati da campi di lavoro, studiati a tavolino allo scopo di eliminare fisicamente determinate frange di popolazione civile (ebrei, oppositori politici, zingari, omosessuali...).
Nei campi militari inoltre vigeva una sorta di codice d'onore, venivano mantenuti i gradi e non mancava un certo rigido rispetto tra i prigionieri e le guardie.
Attraverso l'intercessione della Croce Rossa si potevano stabilire contatti con i parenti in Patria e ricevere alimenti e notizie.

Enrico nella sua lettera ringrazia per i pacchi ricevuti e scrive che prima del suo arrivo al campo "avvenne una moria di otto o dieci mila serbi". Questo è un ottimo indizio di partenza per poter capire di quale campo si trattasse, anche senza muoversi dal proprio pc.

Quello di Katzenau potremmo escluderlo dalla lista, in quanto destinato in larga parte alla popolazione civile deportata dalle regioni vicine ai combattimenti e sospetta di collaborazionismo con il nemico. Sembra che in precedenza abbia accolto anche prigionieri di guerra russi, decimati poi da un'epidemia di tifo, ma fu chiuso nel 1917 e i prigionieri furono trasferiti altrove (Wikipedia).
Wegscheid non era molto lontano da Linz, e anche lì furono internati molti italiani. Si trova però in territorio tedesco (qui il racconto di un altro prigioniero).
Marchtrenk: in quest'ultimo risultano reclusi circa 25.000 militari italiani e ospita ancora oggi un cimitero di guerra dove sono sepolti 1.453 italiani che non fecero mai ritorno a casa, oltre a persone di altre nazionalità tra le quali però soltanto 11 serbi (dal sito dell'ANA - Associazione Nazionale Alpini)
Resta Mauthausen, nel quale è documentata la presenza di prigionieri russi e serbi e vengono citate (qui) le precarie condizioni di salute per via del tifo.

Per comprendere questo documento però non è necessario sapere con precisione in quale campo si trovasse l'autore. Potrebbe essere uno qualsiasi di questi quattro, o un altro ancora. Ciò che conta è la testimonianza in sé e le vicissitudini di questi uomini che si trovarono loro malgrado a vivere situazioni estreme come questa.
Perciò, senza dilungarmi oltre, vi lascio alla lettura della prima parte di questa lettera e vi rimando al prossimo post del Rumentaio per la seconda (e conclusiva).

(a mano) Copiato dalla lettera di Enrico
Riservata

"Carissimi genitori


Approfitto del rimpatrio del collega per darvi liberamente qualche ragguaglio sul fatto della mia cattura. Fummo fatti prigionieri in 3 ufficiali e 119 soldati, dei quali molti del Genio, che nulla avevano di comune con noi. Ecco come si svolse il fatto.

Erano i primi albori del giorno e stavamo in catena aspettando l'ordine dell'assalto. Più avanti stava un riparto in azione. Tutto ad un tratto io udii delle grida dei nostri che urlavano : " si arrendono si arrendono." Erano austriaci che s'arrendevano.
Molti soldati si slanciarono avanti per prenderli e siccome spinti dall'esempio altri vi correvano pure, noi urlammo di star fermi.
Ma nello stesso tempo si udirono urla di " tradimento - tradimento -tradimento - s'arrendono e cominciò da parte del nemico un fuoco di fucileria infernale che ci investì da ogni parte.
Guardai verso il luogo donde venivano le urla e vidi dei nostri che agitavano i berretti e si avanzavano carponi senza il fucile, verso il nemico.
Capii subito.
Gridai quanto potei di non muoversi, di prendere il fucile e sparare. Fosse il fracasso o che non volessero ubbidire, essi continuarono ad avanzare. Avevo un moschetto e feci fuoco loro addosso due o tre volte , non tenendo altri colpi, perchè già prima avevo tirato sul nemico.
Mentre stavo ricaricando, degli austriaci, sbucatimi improvvisamente dinanzi, mi presero di mira a tre metri di distanza circa, altri urlando in ungherese mi afferrarono alle spalle; (ci avevano aggirati) non ho ancora capito come andò il fatto, perché non ebbi il tempo di riflettere, che mi trovai disarmato, sballottato, battuto ed afferrato da molti. Uno urlandomi in faccia mi teneva la baionetta alla gola, altri gridando come ossessi mi tenevano il fucile sul petto facendo atto di trapassarmi o far fuoco.
Ero disarmato, por la Patria ero perduto.

Tutto questo si svolse in pochi istanti. Dal primo allarme alla mia cattura, saranno trascorsi sì e no forse trenta secondi. È stata una cosa fulminea. Non potei vedere i miei colleghi od i soldati. Tutto era una mischia, una confusione di urla, di lamenti, di grida infernali.
Quale differenza, fra tale rapida azione , e l'estenuante lavoro diurno che rende gli uomini affranti proprio in quelle ore notturne durante le quali lo spirito deve essere sveglio ed alacre per poter prontamente dominare e superare gli avvenimenti imprevisti ed avversi.
Invece tutto il giorno assetati come cani si lavorava nei camminamenti, quindi durante la notte dovevamo star svegli in attesa di sorprese; poi, il più delle volte si correva all'assalto.
E così avvenne in quella notte dove fra l'oscurità, la confusione, gli urli, si dovette osservare a destra a sinistra e fra il sibilo delle pallottole, noi pure si dovette urlare disperatamente degli ordini non intesi od ascoltati. E per aggiunta il tradimento!
Si metta dunque nei nostri panni chi volesse giudicarci.
Infine se ci si dà una macchina che non ubbidisce, che responsabilità possiamo avere noi se non funziona?


Molte volte in questi mesi mi sono chiesto se la breve azione così fulmineamente svoltasi avrebbe potuto mercè nostra avere altro epilogo, ma sempre venni alla conclusione che dato anche il procedere del nemico, non doveva svolgersi in altro modo.
Certamente, per quanto mi riguarda personalmente, potrei anche non esser qui, se come altri fecero altre volte, mi fossi ritirato appena vista la mala parata.
Ma io cercai di tener raccolti e far combattere i miei soldati ed al caso morire con loro. Se son vivo lo sono per miracolo.


Carissimi genitori, vi ringrazio dei pacchi che mi mandate. Ora va meglio. Ma nei primi mesi quanta fame abbiamo avuto !
Il campo nostro, come vi dissi, è circondato da un doppio reticolato, ben illuminato di notte e quindi è inutile tentare la fuga, anche per le numerose sentinelle che lo guardano.
Forse più tardi chi sa !

(prigionieri italiani della grande guerra nel campo di Mauthausen) link

Quanto alla tentata fuga a mezzo d'un tunnel, ecco come procedemmo. Adesso vi posso spiegare bene ed a lungo. Cominciammo a lavorare il 1° di dicembre e si calcolò di finirlo verso maggio. Dapprima eravamo in tre ufficiali. Il 1° giorno spostammo in una stanza un armadio e al suo posto col coltello si tagliò il pavimento con un foro di 40x60 quindi si attaccò la terra che man mano estratta si portava fuori di notte con sputacchiere poi coi secchi della stanza, tenendoli nascosti sotto il mantello. Accidenti a quei secchi che strappavano le braccia. Ma così non poteva continuare. Era impossibile.
Devo premettere che le baracche nostre col pavimento alquanto distante da terra, distanti circa trenta metri dai reticolati, si prestavan bene per una galleria verso l'esterno.

 Sotto, un fotogramma dal film "La grande fuga" con Steve McQueen
Dopo circa dieci giorni avevamo fatto un pozzetto nel quale si poteva stare in due. Pensammo di scavare dei corridoi o camminamenti sotto le baracche gettando la terra a destra ed a sinistra per preparare lo scavo di ricevimento della terra della progettata galleria di fuga. Dopo due mesi di lavoro ci accorgemmo che sopra di noi, ma a fianco, si iniziava un lavoro simile al nostro. Facemmo allora lo scherzo di portar sotto la nuova botola la terra che noi scavavamo e gli sconosciuti colleghi allora la portarono via. Finalmente riuscirono a toglierla tutta. Quale fu il loro stupore quando ci videro ed ammirarono il lavoro compiuto. Prevengo che bene inteso si lavorava in ginocchio. I nuovi trovati erano in quattro; accettammo anche loro e si continuò il lavoro, tenendo un registro di turno per tutti sette."

(continua qui)

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