15.5.16

r/042 - Lettera di Silvia Baccani Giani



"Carissima Laura, ti scrivo da Genova..."

Potrebbe iniziare così questa lettera che la signora Silvia Baccani Giani scrive alla sua amica poco prima di partire per il Chili insieme al marito. Purtroppo l'incipit è assente in quanto la lettera originale presenta un ampio strappo, forse risultato di un maldestro intervento per rimuovere il francobollo dalla busta (anch'essa assente).
La calligrafia minuta, precisa e quasi priva di refusi e di errori grammaticali, ci fa capire da subito che si tratta di una persona colta, che sa come sfruttare al meglio il poco spazio a sua disposizione. In effetti la sua più che una lettera sembra un vero e proprio racconto, nel quale è facile immergersi accompagnati dall'oculata scelta delle parole e dai giusti tempi narrativi. Non un racconto inventato, però, ma uno spaccato di vita che viene da lontano, visto che la lettera risale almeno al 1892.
Non disponendo dell'intestazione né della busta, baso la mia datazione sulla presenza di un secondo, breve biglietto, che si trova in mio possesso. Questo fu inviato direttamente dal Cile, dove la signora risulta già sistemata, e porta la data del novembre 1892.


Oltre alla narrazione in sé, ciò che caratterizza questa lettera sono gli argomenti di interesse storico che presenta, raccontati con parole estremamente chiare e semplici.
La signora si trova a Genova in attesa della nave sulla quale dovrà attraversare l'oceano, e nel frattempo ci fa un riassunto della sua esperienza, soffermandosi su quegli avvenimenti che più hanno stimolato il suo interesse.
Il porto di Genova a quell'epoca era il principale punto di collegamento dall'italia verso l'America (del nord e del sud), e migliaia di migranti vi giungevano ogni giorno per imbarcarsi verso una nuova vita. Veri e propri "viaggi della speranza" di chi si lasciava tutto alle spalle (spesso anche la famiglia) senza la certezza di poter ritornare.
Certo, lo abbiamo visto in decine di film, fiction, romanzi... ma qui ne veniamo a conoscenza attraverso le parole di una diretta testimone che, ben lungi dal volerne fare un prodotto d'intrattenimento, approfitta dei tempi morti dell'attesa per "chiacchierare" con un'amica.

Alcuni dettagli poi sono davvero spassosi, come l'accenno al prezzo esagerato per un bicchiere di latte o alla forma dei lampioni genovesi (dei quali, grazie al blog dell'amica blogger Miss Fletcher e alle cartoline di Stefano Finauri ho individuato finalmente il dettaglio osservato dalla signora Silvia). Peccato per quello strappo che, riproponendosi ovviamente anche sul retro del foglio, ci lascia con una misteriosa frase troncata a metà di cui non conosceremo mai la fine!

Vorrei spendere un'ultima parola sulla redattrice della lettera, che farà un po' di chiarezza sulle sue capacità narrative:
Silvia Baccani Giani fu una scrittrice, nota nell'ambiente letterario dell'epoca e in contatto con personaggi quali Angelo De Gubernatis. Il suo nome è ricordato ancora oggi per essere stata la traduttrice dallo spagnolo della prima edizione italiana (datata 1925) di Los pazos de Ulloa di Emilia Pardo Bazán (tradotto come Il castello di Ulloa) e Fortunata y Jacinta di Benito Pérez Galdós (1926), entrambi editi da A. Salani di Firenze.

I due volumi sono stati pubblicati ben 30 anni dopo la stesura di questa lettera. Quanti anni avrà avuto la signora al momento della partenza? Trenta? Forse meno? È vero che non sta bene chiedere l'età alle signore, per lo meno non nel diciannovesimo secolo...  però viene lecito chiedersi se la sua conoscenza dello spagnolo sia stato il frutto della permanenza in Cile o se lo conoscesse ancor prima di partire.
Io scommetterei sulla prima, visto che il motivo del suo viaggio sembra semplicemente quello di accompagnare il marito per questioni di lavoro. Ma è chiaro che una donna così avanti per la sua epoca e con lo spirito di cui darà prova negli avvenimenti narrati, non poteva certamente limitarsi a svolgere un ruolo passivo.
Qui accanto allego una foto che la ritrae, recuperata dal sito del Museo Histórico Nacional di Santiago del Cile.
Ora, se siete d'accordo, lascerei la parola a lei.

p.s.: Per chi voglia cimentarsi nella lettura dell'originale, ho inserito nel post la scansione completa della lettera numerando le pagine nel loro ordine corretto. Se invece preferite viaggiare comodamente in prima classe, proseguite pure qui sotto.
Buon viaggio!

    (…)artiti (…)
   (…) Come a (…)
    (…) all’ultimo, (…)
   (…) amici a Torino, (…)
        (…) in cui vi lascio a mali(ncuore) (…)
(…)erta se il suolo Chileno ci presente(rà uno sce-) (…)
nario più ridente. 
In treno mi trovai benissimo, lo stomaco confortato sovente da quelli efficacissimi biscottini fra i quali s’era immersa la manina d’Ines come in una piletta d’acqua santa.  Avevamo da un lato uno stormo di giovanotti pieni d’allegria, di molto arguti e di note stonate;  dall’altro delle donne piangevano perché dovevano andare in America.  Noi, fra quelle risa e quei pianti, eravamo…  come il marchese Colombi*.
Il nostro spirito si voltava innanzi e indietro come una banderuola, ora verso di noi ed ora verso la meta nostra.


A Genova abbiamo trovato pure il cielo annuvolato, ma il mare tranquillissimo ed anzi, quando siamo andati a visitare la spiaggia, un bel raggio di sole si è affacciato gentilmente per illuminarcela. 
Avrete ricevuto nel giornale quel piccolo conto? (vi avverto che è saldato, lo abbiamo messo lì soltanto perché vediate l’indirizzo, i prezzi e, al caso, possiate giovarvene). 
E’ un albergo nuovo, pulitissimo.  Noi abbiamo una cameretta in alto, dove son nuove
fino le lenzuola! ####################  Dalla finestra vediamo il mare.   Oggi il tempo è bellissimo, come ieri, e si può sperare d’imbarcarci domani con la calma.


Ieri abbiamo passeggiato molto; il mattino all’Acquasola e il pomeriggio lungo il mare.  Nei giardini pubblici mi han fatto pagare 35 centesimi una tazza di puro latte. Genovesi ladri!  Hanno osservato loro i fanali con una testa coronata al capitello della colonna? Pare che qui (...)

        (interruzione causa strappo)
Lampione con testa di Giano bifronte, proprio all'esterno dell'ufficio
postale dal quale forse è stata spedita questa lettera

                                                               (…)li a(…)
                                                            (…)maglia(…)
                                               (…)(com)pagni di v(iaggio)(…)
                                               (…)(no)n erano contadi(ni) (…)
                                                (…)ere, operai e socialisti (…)
                      (sen)za capire il come né il perché. Povera g(ente), la
loro assoluta ignoranza li rende così poveri di spirito, così abbattuti e dubbiosi che camminano come ciechi, pronti ad allarmarsi per un ostacolo da nulla.

Mentre mio marito attendeva il suo turno presso lo sportello dei biglietti in un lungo e stretto corridoio, io ero andata a sedermi in una sala dove qualche giovanotto atten-
deva discutendo. Io, che non ho aspettato agli ultimi momenti a leggere i fogli della Casa Gondrand**, conoscevo un paragrafo che dice: “Il Governo Chileno non assicura il lavoro agli operai ecc. 
Uno degli emigranti, invece – come, del resto, quasi tutti – non lo aveva letto. A un tratto diventa pallido di collera, dà in esclamazioni disperate.
“Sentite, sentite! E’ un tradimento! Ci fanno andar là a morir di fame! Bisogna protestare, farci rendere il nostro danaro, ecc ecc.
Poi si precipita verso il corridoio e a quanti entravano: “Avete firmato voi? No? Dunque fermi; non si firma nessuno. Si va tutti a protestare. Dove? Dall’impiegati è inutile. Dai Gondrand, sì. Dove sono? Mettiamoci d’accordo. Quanti siamo?
A me tutto quell’allarme faceva compassione. Tutta quella gente in preda a un panico straziante mi commoveva. Senza muovermi dal posto dove me ne stavo seduta, mi volsi a uno che mi
 era vicino e ascoltava fremendo senza parlare.
“Quel giovanotto, gli dissi, fa del male a tutti. Mette lo scompiglio quando la calma è più necessaria.
– Ma ha ragione però
– No, ha torto, non da il giusto valore alla parola. Il Governo Chileno non può assicurare il lavoro perché non tiene schiavi i suoi capifabbrica e padroni di negozio e non gli obbliga a stipendiare operai di sua scelta, quando questi operai non gli conosce nem-
meno e non può rispondere di loro. Il Governo Chileno ci presta semplicemente il denaro del viaggio visto che qua non abbiamo né posto né lavoro, persuaso che in casa sua sapremo trovarcene. Ci tratta da amici e dobbiamo essergli riconoscenti.

Finite che ebbi queste ed altre parole il giovanotto mi dice: Sì, lei mi persuade. E corre dall’altro lato della sala, prende per un braccio il riottoso, chiama a nome gli altri, impone silenzio, me li conduce tutti in giro alla gran tavola dietro la quale sedevo, sola donna fra tanti uomini.
Zitto, dice il giovanotto persuaso; sentite quello che dice questa signora. E rivolto a me: faccia grazia di ripetere quello che ha detto.
 
Ormai ero in ballo… e quantunque sia nemica delle donne conferenziere, mi son trovata
nel caso eccezionalissimo di parlare con vero e spontaneo calore. In verità la mia vanità – se in quel momento si fosse potuta destare – avrebbe ottenuto un completo trionfo. Tutti quegli uomini di diversi paesi di varie età e di sentimenti disparati si sono accordati nella più silenziosa attenzione.
Qualcuno nelle ultime file diceva al vicino: Questa signora parla bene. Ciò m’incoraggiava, mi elettrizzava un pochino. Vedevo, a misura che parlavo, rasserenarsi tutte quelle fisionomie alterate. Sentivo che la mia parola s’insinuava nei loro animi ed era loro un conforto, una speranza. Qualcuno ha tentato ancora delle obbiezioni che subito ho combattute e visto poi che solo rimaneva ad abbo
nirsi quello che aveva suscitato lo scompiglio, gli ho detto con qualche ironia: Lei ha paura!
Egli allora ha protestato.  Ormai era il primo a firmare. Altri avevano già deciso così. Tutti han finito coll’imporre silenzio a quel giovanotto e dopo avermi rivolto parole di approvazione si sono precipitati nel corridoio allo sportello dei biglietti. 

Mio marito che attendeva ancora presso di quello, mi ha dettodopo che in quel momento si è sentito strizzare la pancia. Io, rimasta sola in sala, mi sono asciugata il sudore come un predicatore davvero e frattanto pensavo alla facilità con cui il popolino si lascia voltare a destra e a manca con due chiacchiere del primo imbecille che con buone o cattive ragioni voglia persuaderlo.  
Dopo cinque minuti di solitudine, ecco rientra uno di quei giovanotti e mi si asside accanto.  Era un abruzzese, un tipo geniale e curioso che da del tu socondo l’uso del suo
paese, pur trattando col dovuto rispetto.  E’ una brutta cosa essere ignoranti, mi dice in confidenza.  Tu parli bene, ma quel giovanotto che vuol montare la testa a tutti, fa il saccente e non capisce un’acca (notino che dico un’acca per usare un linguaggio più
parlamentare del suo).  Quando non si ha istruzione, capisci, si ha paura d’essere imbrogliati.

Dopo di quello venne un uomo sulla quarantina e in particolare mi confidò le sue idee: Le sue ragioni son buone, signora; ma io che vado là senza un centesimo ed ho famiglia, se non ho il lavoro pronto chi mi da da mangiare?
– Sarete mantenuto per una settimana, avrete tempo di trovarvene. 
Così ad uno ad uno vennero poi quasi tutti a chieder consigli particolari o nuove spiegazioni. Finché uno, che non aveva forse pregiudizi morali, mi domandò perché si sentisse dalla mattina un dolore in una gamba!...  
Ebbi paura che si levasse i calzoni per farmela vedere e andai a raggiungere mio marito che si era quasi cristallizzato nel corridoio.

Quando ripassai con lui dalla sala, gli emigranti erano tutti voltati dalla
mia parte con segni di simpatia.   Mi salutavano con la voce e col cappello mentre io dicevo loro: Arrivederci a bordo!
Sì! Sì! mi risposero più voci.  Mio marito esterefatto mi guardava non sapendosi spiegare tutta quella dimostrazione. Volete scommettere, amici miei, che al Chili divento presidentessa d’una società d’operai?


ore 11 anti.     Ho veduto dalla finestra sventolare la bandiera francese, è arrivato  ######  il Cachar. Siamo corsi a vederlo da vicino.  E’ il più grosso vapore che si trova nel porto.  Viene da Marsiglia ed è proprio francese come desideravo io. Lo vedeste che legno!   Ha 130 metri di lunghezza.
Il "Cachar" in un'immagine d'epoca

Mentre si stava osservandolo, un giovane toro fuggito non so di dove si è scagliato sbuffante tra la gente rincorrendo le persone, con le corna abbassate.  Siamo fuggiti come gli altri sbandandoci da tutte le parti.
Vede, Signora Laura?  Siamo ancora a Genova e il mio repertorio è già ricco di avven-
ture!

ore 6 pom.

     Mio marito torna qui dopo avere consegnato i bauli a bordo.   Mi racconta mille cose dell’inconvenienti che incontrano quei poveri emigranti che vanno con la testa nel sacco. Uno ha portato una cassa enorme con entro fino le materasse. Ora non gliel’accettano se non paga 90 lire.  Ed ha seco moglie e figli! A uno è andato il coperchio in frantumi e la roba a soqquadro. Un altro è in contravvenzione per una cassa di bottiglie.  C’è pure stato uno che nel parapiglia è andato in mare fino alla cintura.


In conclusione domani si parte e siccome non so a quale ora e dovrò andare a bordo forse nella mattina, chiudo questa mia eterna lettera e vi faccio i miei più affettuosi saluti.  Come in questo momento, il mio pensiero sarà sempre con voi, cari amici, fino al giorno in
cui potrò ancora scrivervi. 
Mio marito si unisce a me nel serrarvi la mano.  Prego dei nostri saluti alla Signora Vogallo.  Tante cose al Signor Vogallo e Sig. Ioris.  Alla mia cara Ines, poi, e a lei, mia buona amica, un abbraccio affettuoso e mille baci.

Questa è l’ultima notte che dormiamo qui. Domani cominceranno le vere emozioni e
domanisera nel coricarci saremo come quelli che
                                         “ … chiamati son sonnambuli
                                         “  Dall’andare e dal dormir.

Un ultimo saluto anche alle due famiglie Lanzerini.


                                           Con tutto l’affetto.
                         

   Di lei affezionata amica
                                            Silvia Baccani Giani.


Note:
* Proverbiale macchietta della fortunata commedia di Paolo Ferrari La Satira e Parini (rappresentata per la prima volta nel 1856). Dell'ignorante Marchese Colombi - presidente dell'Accademia letteraria degli Enormi - è rimasta proverbiale la battuta: "Le accademie si fanno oppure non si fanno".
** Nota ditta di trasporti privata, tuttora esistente: (http://www.gondrand.ch/it-it/Company/History.aspx)

DETTAGLI:
Dimensioni: 13,5x21cm

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